Page 2010 - Shakespeare - Vol. 2
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15 III, ii, 2 “thrice-crowned queen of night”. L’invocazione di Orlando è alla casta Luna, che nel mito e
                 culto classico è una e trina, ha tre corone come Diana-Artemide dea della castità, signora delle belve
                 e insieme, in contraddizione per i loici, protettrice dei cacciatori; poi come Proserpina-Ecate dea del
                 mondo di giù, e come Selene-Luna del mondo di lassù. Occupa cioè le tre sfere dell’essere come
                 una regina con tre regni e tre corone, così come sarà Giacomo I, e i re inglesi che appaiono nella
                 evocazione delle donne del destino nel Macbeth.
              16 III, ii, 117 Continuano i grattacapi del traduttore, incapace qui a rendere il calembour con “medlar”
                 (nespolo) e “meddler” (intrigante). Altri giochi di parole, qua e là, sono intraducibili. Valga una volta
                 per tutte l’avvertimento che in questi casi ci si allontana dal testo in cerca d’un eventuale analogo
                 italiano. Notiamo che la scena, la più lunga della commedia, è quasi tutta un gran gioco di parole;
                 con  versi  scherzosi  e  lazzi  e  arguzie,  sviluppa  i  temi  del  tempo  e  dell’amore.  Ai  versi  186-188  la
                 “definizione” di Celia, poi l’inizio delle due cure amorose su Orlando-Rosalinda e Silvio-Febe, mentre si
                 delinea una scala d’amore: Rosalinda ama riamata Orlando − Febe ama non riamata Rosalinda nei
                 panni  di  Ganimede  −  Silvio  ama  non  riamato  Febe.  Nella  ricongiunzione  di  Rosalinda  e  Orlando,
                 Melchiori vede il centro e il turning point dell’opera.
              17 III,  ii,  280  Jaques  casca  nella  trappola  arguta  di  Orlando,  che  qui  è  più  brillante  del  solito.  Ma  la
                 battuta è veramente indegna dello spirito di Jaques − e lo notava già il Furness − la cui défaillance
                 ha due spiegazioni possibili: o Jaques è stanco, e difatti taglia la corda forse nauseato di se stesso;
                 oppure, stanco di Orlando, finge di cascare nella sua trappola per andarsene.
              18 III,  iii  In  questa  scena  Touchstone  sfoggia  alcuni  dei  suoi  più  impegnativi  lazzi  culturali,  che  solo
                 Jaques  potrebbe  apprezzare.  Ma  non  è  facile  tradurli.  Ad  esempio  il  gioco  tra  “goats”  capre,  e
                 “Goths”,  i  Goti  di  Ovidio,  al  quale  conviene  rinunciare.  Ma  anche  gli  altri  personaggi  della  scena
                 sembrano  polarizzati  dalla  cultura,  e  Jaques  allude  (al  v.  8)  alla  leggenda  classica  dei  pastori
                 Filemone  e  Bauci  che  accolgono  Giove  nella  propria  capanna  (Ovidio, Metamorfosi  VIII),  mentre
                 Touchstone pare alludere (ai versi 10-13) al Barabas dell’Ebreo  di  Malta  e  alla  morte  di  Marlowe,
                 ucciso nella stanzetta d’una taverna in seguito a un litigio (1593), quasi anticipando il bel richiamo a
                 un verso dell’Ero e Leandro che farà Febe a III, v, 81-82.

              19 III, v, 81-82 La citazione è da Ero e Leandro (I, 178), pubblicato postumo nel 1598. Febe chiama il
                 poeta col gergo arcadico, “Morto pastore”. Il verso, detto da Febe che esce dai propri panni e si
                 rivolge  alla  parte  colta  del  pubblico  in  nome  dell’autore,  rompe  l’illusionismo  della  scena  ed  è  un
                 commovente omaggio di Shakespeare al collega morto prematuramente.
              20 ATTO IV La separazione dal III atto è particolarmente di comodo, e del tutto artificiosa. I due atti
                 sono  il  regno  dell’homo  ludens,  che  qui  continua  i  suoi  giochi  e  dibattiti  scherzosi.  Gioco  sono  le
                 schermaglie iniziali tra Rosalinda e Jaques, qui nella veste del viaggiatore baudelairiano che trova nel
                 viaggio la riconferma della vanità del tutto. Gioco è la “cura” che Rosalinda infligge a Orlando, non
                 tanto per metterlo a prova ma per scaricare nel divertimento e nella vicinanza dell’amato la propria
                 sensuale  vitalità.  Giochi  le  prese  in  giro  degli  innamorati,  perché  Rosalinda,  dice  Mark  Van  Doren,
                 conosce solo una cosa più sciocca dell’amore, ed è ritenere che l’amore sia una sciocchezza. Gioco
                 la vita dei baroni travestiti da banditi o da legnaiuoli, e in fondo anche gioco cerimoniale e pastorale il
                 comportamento di Silvio e Febe. E infine gioco, a un livello più alto, quello della Fortuna con Oliver e
                 le  sue  avventure  e  il  colpo  di  fulmine  tra  lui  e  Celia.  Gioco,  sul  piano  della  rappresentazione,  la
                 mescolanza  a  gradini  di  realtà  e  finzione  scatenata  dal  travestimento  maschile  di  Rosalinda:  ad
                 esempio,  nella  prima  scena,  Jaques  prende  Rosalinda  per  un  ragazzo,  ma  Orlando,  che
                 sopravviene,  crede  Rosalinda  un  ragazzo  che  recita  per  lui  la  parte  di  quella  Rosalinda  che,  ma
                 questo non lo sa, è realmente. La stessa Rosalinda, a momenti, non sa quasi se parla da uomo o
                 da donna, e lo stesso dubbio viene al traduttore. La realtà stessa rasenta la finzione.
              21 IV,  i,  11  Che  i  musicisti  siano  dei  matti  lo  dice  Robert  Burton  nella  sua Anatomia  della  malinconia
                 (1621).
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