Page 2543 - Shakespeare - Vol. 1
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Felicità a Teseo, nostro Duca insigne!
T ESEO
Grazie, mio buon Egeo. Ma che t’accade?
EGEO
Vengo a te, profondamente afflitto. Vengo a dolermi
della mia creatura - di mia figlia Ermia.
Vieni avanti, Demetrio. Mio nobile Signore,
quest’uomo ha il mio consenso per sposarla.
Vieni avanti, Lisandro. E questi, grazioso Duca,
ha ammaliato il cuore di mia figlia.
Sì, proprio tu, Lisandro; tu, le dedicasti rime d’amore,
tu, con la mia bambina scambiasti pegni amorosi.
Tu, sotto il suo balcone, al lume di luna cantasti,
con voce sdolcinata, versi di simulato amore,
e subdolamente t’imprimesti nella mente sua,
offrendo braccialetti dei tuoi capelli, anelli, ninnoli e gingilli,
mazzolini, frivolezze e dolciumi - che son messaggeri
di gran persuasione per le tenere fanciulle.
Tu, con astuzia, hai ghermito il cuore di mia figlia,
trasformando l’obbedienza sua - a me dovuta -
in arrogante ostinazione. Oh grazioso Duca,
se avverrà che al vostro cospetto
ella rifiuti di sposarsi con Demetrio,
invocherò l’antico privilegio della città d’Atene.
Ella mi appartiene, ed io di lei disporrò.
O mia figlia sarà di questo gentiluomo,
o sarà della morte, come la nostra legge vuole -
immediatamente applicabile in simili casi.
T ESEO
Ermia, che dici? Considera attentamente ciò che fai.
Per te, simile a un dio dovrebbe esser tuo padre.
Un dio che modellò le tue grazie; sì, e per cui
altro non sei che cerea forma da lui plasmata;
ed è in suo potere conservarne l’effigie immutata
o cancellarla. Demetrio è un degno gentiluomo.
ERMIA

