Page 2336 - Shakespeare - Vol. 4
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Note







          Prefazione


               1 Cfr. A. Koyré, Mystiques, spirituels, alchimistes du XVI siècle allemand, Paris 1971, p. 111.
               2 E. Canetti, La lingua salvata, Milano 1980, p. 218.

               3 Cfr.  L.  Spitzer,  The  «Ode  on  a  Grecian  Urn»,  or  Content  vs.  Metagrammar,  «Comparative
                 Literature»,  7,  1955; Marvell’s «Nymph Complaining for the Death of Her Fawn»: Sources versus
                 Meaning, «Modern Language Quarterly», 19, 1958.




          Venere e Adone


               4 Ovidio, Amores,  I,  xv,  35-36.  Il  distico  venne  tradotto  sia  da  Marlowe  (Let  base-conceited  wits
                 admire vile things: / Fair Phoebus lead me to the Muses’ springs, ‘Ammirino gli spiriti volgari le cose
                 vili: / Il biondo Febo mi conduca alle fonti delle Muse’) che da Ben Jonson (Kneel hinds to trash: me
                 let bright Phoebus swell / With cups full-flowing from the Muses’ well, ‘Davanti alla feccia s’inginocchi
                 il volgo: Febo splendente mi sazi / di colme coppe attinte alla fonte delle Muse’).
               5 Il voto verrà rispettato, e la «più grave fatica» sarà Lucrezia.

               6 Il dedicatario è qui soltanto «padrino», e non, come nella dedica del 1609 dei Sonetti, onlie begetter
                 (‘unico generatore’): «il riferimento, dunque, è e non può che essere al battesimo della stampa»
                 (T.W.  Baldwin,  On the Literary Genetics of Shakespeare’s Poems and Sonnets,  Urbana  1950,  p.
                 46).
               7 vv.  1-6  Il  Sole  (e  non  Titone)  come  amante  dell’Aurora  è  variazione  shakespeariana;  la  loro
                 lacrimosa separazione anticipa quella dei protagonisti.
               8 v.  7  sgg.  L’allocuzione  di  Venere  ad  Adone  ricalca  quella  di  Salmacide  a  Ermafrodito  in  Ovidio,
                 Metamorfosi, IV, 320 sgg.
               9 vv. 11-12 Avendo superato se stessa e raggiunto la perfezione, la natura è ormai disposta a che il
                 mondo abbia fine.
              10 vv.  19-20  Capacità  posseduta  anche  dalla  Cleopatra  shakespeariana,  che  «affama  quanto  più
                 soddisfa» (Antony and Cleopatra, II, ii, 237-38).
              11 vv.  25-26  Per  il  palmo  sudato  come  segno  di  robuste  qualità  erotiche  cfr.  il  palmo  «oleoso»  in
                 Antony and Cleopatra, I, ii, 51, e la mano «calda e umida» in Othello, III, iv, 35.
              12 v. 42 Se non suscitando la brama (di lui), esercitando la forza (di lei).

              13 v. 47 Letteralmente: ‘e parla baciando, con linguaggio lussurioso e rotto’.
              14 v. 55 All’aquila (oltre che al polipo) viene paragonata anche Salmacide nel suo vigoroso tentativo di
                 seduzione del ritroso Ermafrodito (Metamorfosi, IV, 362).
              15 vv. 76-78 Analoghi concetti in Ovidio, dove al candore eburneo e lunare di Ermafrodito et erubuisse
                 decebat (Metamorfosi, IV, 329-33).
              16 vv. 93-94 Un supplizio di Tantalo: cfr. vv. 595-600.

              17 vv. 129-30 Venere comincia qui a usare con Adone argomenti (tradizionali) utilizzati da Shakespeare
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