Page 4 - Canti di Castelvecchio
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che oscilla
            davanti a una dolce Maria,
            vivendo dell'umile stilla
                   di cento capanne:
              raccolgo l'uguale tributo
                   d'ulivo
            da tutta la villa, e il saluto
            del colle sassoso e del rivo
                   sonante di canne:
              e incende, il mio raggio, di sera,
            tra l'ombra di mesta viola,
            nel ciglio che prega e dispera,
            la povera lagrima sola;
            e muore, nei lucidi albori,
            tremando, il mio pallido raggio,
            tra cori di vergini e fiori
                   di maggio:

            IV
              o quella, velata, che al fianco
                   t'addita
            la donna più bianca del bianco
            lenzuolo, che in grembo, assopita,
                   matura il tuo seme;
              o quella che irraggia una cuna
                   - la barca
            che, alzando il fanal di fortuna,
            nel mare dell'essere varca,
                   si dondola, e geme -;
              o quella che illumina tacita
            tombe profonde - con visi
            scarniti di vecchi; tenaci
            di vergini bionde sorrisi;
            tua madre!... nell'ombra senz'ore,
            per te, dal suo triste riposo,
            congiunge le mani al suo cuore
                   già róso! -

            V
              Io sono la lampada ch'arde
                   soave!
            nell'ore più sole e più tarde,
            nell'ombra più mesta, più grave,
                   più buona, o fratello!
              Ch'io penda sul capo a fanciulla
                   che pensa,
            su madre che prega, su culla
            che piange, su garrula mensa,
                   su tacito avello;
              lontano risplende l'ardore


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