Page 254 - Enciclopedia degli artisti contemporanei.
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Pivetta Osvaldo
Questo artista ha puntato verso l’immagine dell’uomo di
sempre, saldamente ancorato a quello che dovrebbe essere il
suo atteggiamento costante verso il mondo, un atteggiamen-
to cioè sostanziato di un amore e di una fiducia capaci di
superare le circostanze negative della vita.
Carlo Munari - 1964
Pivetta giunge alla pittura in questo momento in cui gli at-
timi sono sempre più brevi. Vi giunge con lo slancio di un
neofita e si direbbe che pensi di essere capitato nell’istante
cruciale quando, dopo aver scomposto «l’essere» e averlo co-
nosciuto, arriva l’ora di rimetterlo insieme.
Tutta la sua pittura infatti tende con evidenza a puntua-
lizzare sempre di più una figurazione «mossa» in un ri-
costituito equilibrio di piani. Abbiamo fatto abbastanza i
ricercatori ora torniamo a fare i poeti.
Ascanio Ascani - 1961
In Pivetta, come già mi è occorso di riscontrare in altri pit-
tori astratti, vi si nota una sottile e vibrante concentrazione
lirica che scopre mire di riedificazione.
Gli attuali esiti stanno ad indicare un’autenticità ed una
Monza 1922 - Nîce 1981 giustificazione vitalmente adatta a sopportare la responsa-
È da ragazzo che dipingo. Per me vita e pittura sono state bilità e della rottura e dei recuperi.
sempre un unico impasto. Ogni azione, ogni pensiero di Giovani Battista Salerno - 1961
ieri e di oggi è per l’arte. A quattordici anni avevo già un
abbaino-studio; lì e in campagna passai la mia gioventù a di-
pingere albe e tramonti d’estate e d’inverno. Il mio interesse Emozioni, fantasia, sentimento, visioni liriche, interpretazio-
fu soprattutto rivolto verso l’uomo e il paesaggio; anche col ni di un mondo visto con sguardo interiore mediante un’im-
passar degli anni e col mutare delle ricerche, rimase. La mia pareggiabile fusione, appena appena cromatica, di elementi
vita finor è stata piuttosto piana, senza grandi colpi di scena. reali con «apprensioni» intellettive, in sincronismo con stati
Povero, dovevo sopravvivere e mi dedicai a diversi mestieri; d’animo individuali, arte difficile e inconsueta, ma arte in-
poi venne adagio adagio un po’ di sereno ed ebbi più possibi- dubbiamente.
lità verso la pittura. I miei temi di gioventù erano i drammi Enrico Contardi - 1961
umani della povera gente, i paesaggi bui con le luci della sera
o rotti dalle luci violente dei temporali. Molti cieli grigio
cupo dominavano il quadro, colori bituminosi la terra. Poi,
notando che tutto usciva sempre bene, mi attaccai ad altre
ricerche. Prova e riprova, nel ‘59 giunsi all’informale. Mo-
stre e successo mi arrisero, ma tre anni dopo eccomi ancora
scontento. La maggiore conoscenza personale, il confronto
con quanto altri operavano mi spinsero a cercare una chia-
rezza di segno tale da pormi su un piano più costruttivo e
meno denunciatario. Mosso soprattutto da una fede in Dio,
ricercai una figurazione che l’amalgamasse al tutto, convin-
to com’ero che l’uomo e la sua forma stanno ad altre forme.
L’uomo visto tanto da vicino da entrarci dentro, da farlo
diventare cosmo nel cosmo. Per far questo occorreva un co-
lore appropriato. E furono gli azzurri, i viola, i gialli, i neri,
i bianchi divenuti forme di luce a creare l’unicità e il ritmo.
I temi e i racconti sono quelli dell’uomo di sempre, slegati
dalle contingenze esistenziali costruttive e se mai risolvibili
con altre azioni. Ritrovarci uomini al di là dei consumi, dei
comodi e degli arrivismi è l’anelito che sta prendendo for-
ma e che soprattutto nei giovani è profondamente sentito.
Questo è fede nella vita, nel valore di quello che siamo, di
coscienza e di amore.
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