Page 169 - Shakespeare - Vol. 3
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     birilli? Le mie mi dolgono a pensarci.
              BECCHINO
               (canta) Un piccone e una vanga, una vanga,
                                                    e poi pure un sudario,
                               oh è giusto farlo a tal ospite
                                                    un bel buco di fango.
                                                                          (Getta in aria un altro cranio.)
              AMLETO
          Un altro. E non potrebbe essere il cranio d’un avvocato? Dove sono ora le sue
          quiddità, le sue quisquilie, e le querele e le quote e i garbugli? Perché ora si
          lascia picchiare sulla pelata da quel tanghero pazzo, con un badile lurido, e
          non lo minaccia di denunciarlo per lesioni? Mah, forse quell’uomo è stato a
          suo tempo un gran compratore di terre, con le sue obbligazioni e cambiali e
          concessioni, e doppie garanzie e riscatti. Ed è questa la fine delle finezze e il
          riscatto dei riscatti, d’aver la sua fine zucca ricolma di terra finissima? E le sue
          garanzie  semplici  e  doppie  non  gli  garantiranno  neanche  il  possesso  d’uno
          spazio che sia lungo e largo come un paio dei suoi contratti? I suoi stessi titoli
          di proprietà entrerebbero a stento in quella buca. E il proprietario in persona
          non avrà più spazio di quello lì, eh?
              ORAZIO
          Non un dito di più, monsignore.
              AMLETO
          Di’, la pergamena non è pelle di pecora?
              ORAZIO
          Sì monsignore, e anche di vitello.
              AMLETO
          Pecore e vitelli son quelli che cercano garanzia in queste cose. Voglio parlare
          a quel tanghero. Di chi è questa tomba, amico?
              BECCHINO
          Mia, signore.





