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dell’altro),  egli  verifica  lo  scacco  di  questi  tentativi  di  affermazione  del per  sé.

          Anche  la  riflessione  sulla Libertà,  con  cui  l’opera  si  chiude,  deve  riconoscere  il
          fallimento dell’uomo, di quell’essere che non può non progettare di essere Dio, e non
          può non essere un Dio mancato.
          Essere e tempo (Sein und  Zeit),  opera  di  Heidegger,  pubblicata  nel  1927,  nella

          quale  il  filosofo  espone  le  tesi  principali  del  suo  esistenzialismo.  Il  procedere
          spesso ellittico del discorso e la novità dei nessi linguistici rendono ardua la lettura
          di  quest’opera.  Lo  scopo  dichiarato  è  quello  di  determinare  il senso  dell’essere
          (ontologia) e la ricerca è condotta col metodo fenomenologico. Heidegger distingue
          dall‘essere i modi particolari dell’essere, che formano l’essente (das Seiende): un
          modo  dell’essere  è Vesserci  (Dasein),  che  è l’esistente,  e  cioè,  per  usare  un
          linguaggio  più  corrente,  l’uomo.  Egli  analizza  con  estremo  impegno Vesserei e le

          diverse situazioni di esso nel mondo, giungendo alla conclusione che l’essere-nel-
          mondo (in-der-Welt-sein) è costitutivo delizierei. Questo significa che l’esistenza,
          per la sua stessa struttura, è essere gettato (geworfen) nel mondo (ecceità, fatticità),
          e che l’angoscia — categoria metafisica da non confondere con la banale paura —
          attesta  una  condizione  ineliminabile  di  precarietà  e  di  imperfezione.  L’esistenza
          trova  il  suo  compimento,  il  suo fine, nella morte. Dunque l’essenza dell’esserci è

          l’essere-per-la-morte (zum-Todesein). Per quanto l’esistente si sforzi di uscire da
          sé, di unirsi agli altri, nella vita sociale e nella operosità storica, egli si ritrova alla
          fine sempre solo ed angosciato e conquista il senso genuino di sé solo accettando il
          suo  destino.  Questo  implica  il  prendere  coscienza  del  suo essere  nel  tempo
          (storicità),  del nulla  da  cui  è  emerso,  e  della libertà, che, in quanto accettazione
          dell’essere-per-la-morte, è anche l’unica via per cui l’esistente può trascendere il
          mondo  e  conquistare  la  propria autenticità.  L’esserci  è  così  al  tempo  stesso  il

          fondamento  della  realtà  e  della  sua  intelligibilità,  il  costruttore  del  mondo,  per
          quanto  ovviamente  queste  formule  abbiano  completamente  perduto  la  risonanza  «
          creazionistica » e « titanica », che era loro propria nell’idealismo classico tedesco.
          Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale.  Teoria e  Storia,

          opera di Benedetto Croce, pubblicata nel 1902 (la prima parte, quella teorica, aveva
          già  visto  la  luce  nel  1900).  L’opera  si  apre  con  la  classica  distinzione:  «  La
          conoscenza  ha  due  forme:  o  è  conoscenza  intuitiva  o  è  conoscenza  logica  ».
          L’intuizione  è  definita  come  «  conoscenza  dell’individuale  »,  produttrice  di
          immagini, mentre la conoscenza logica è « conoscenza dell’universale », e quindi
          produttrice  di  concetti.  L’intuizione,  a  differenza  della percezione,  ignora  la
          distinzione  fra  realtà  e  irrealtà:  «  dove  tutto  è  reale,  niente  è  reale  ».  Parimenti

          l’intuizione non va confusa con la mera sensazione, che è per così dire il suo limite
          inferiore, la sua materia, perennemente « trionfata dalla forma ». Per convincersi che
          l’intuizione  non  si  identifica  con  la  sensazione,  basterà  notare  che  mentre  la
          sensazione si colloca, di per sé, al livello della bruta natura e dell’inespresso, ogni
          vera intuizione è al contrario anche espressione. Questa identità dei due momenti è
          considerata dal Croce come una delle conquiste fondamentali del suo pensiero: « chi

          separa intuizione da espressione, non riesce mai più a ricongiungerle ». Ora l’arte è
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