Page 7 - Le canzoni di Re Enzio
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comune, e gli umidi aliti stranieri.
            Ma il rosso alfine le ginocchia ponta

            e piega a terra: e in pace, a paro, entrambi
            girano poi la macina dei denti.

            Comincia l’anno delle lor fatiche:
            a paro, in pace, romperanno il campo:

            tra poco al campo porteranno il concio
            tiepido e nero; e poi faranno i solchi,

            i lunghi solchi per la pia sementa,
            per grano e lino, canapa orzo spelta.

            L’aratro è fondo, ma il biolco preme
            la stiva più. «Là, Bianco!» urla; «Qua, Rosso!»

            Fumano insieme il fiato della terra
            rotta e dei bovi e del nebbioso cielo

                       e del seminatore.





                               II. IL CUSTODE DELL’ARENGO



            Sul limitare siedono i biolchi,

            mangiano pane. E quali son manenti,
            quali arimanni, del contado, astretti

            al suolo altrui come le quercie e gli olmi.
            Ma dietro loro stridono le chiavi

            e i chiavistelli, ed apparisce il vecchio
            ch’ha in sua balìa le porte delle stalle:

            Zuam Toso. Il lume ha grave ormai degli occhi
            traguarda e dice: «Uomini, dove siete?»

            Cala il cappuccio, stringe a sé la cappa
            con pelli agnine, ch’ebbe dal Comune

            ad Ognissanti per il suo lavoro.
            Zuam Toso trema, abben che sia d’ottobre.

            Guarda a’ suoi piedi, sulla soglia, e dice:
            «Traete dentro, uomini, i bovi: è l’ora.

            Già Bonifazio monta al bitifredo».
            Dice il custode dell’Arengo; e i servi

            taciti in piedi s’alzano, e del piede
            tentano i lombi a gl’indolenti bovi




        G. Pascoli - Le canzoni di Re Enzio                                                                    3
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