Page 10 - Pablo Picasso
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con ineffabile chiarezza. E la percezione ancora muta e inesperta di un
           bambino  nato  a  tali  latitudini  risponde  a  questo  urto  con  una  certa,

           inspiegabile  malinconia,  con  un  sorta  di  irrazionale  nostalgia  per  la
           forma.  È  tale  il  lirismo  del  Mediterraneo  iberico,  terra  di  verità
           denudate, di una drammatica «ricerca della vita per la vita»,[4] come

           ebbe a dire García Lorca, uno che di queste sensazioni se ne intendeva.
              Non  c’è  ombra  di  romanticismo,  qui:  non  c’è  posto  per  il

           sentimentalismo tra contorni nitidi e affilati, ed esiste un solo mondo
           fisico.  «Come  tutti  gli  artisti  spagnoli,  io  sono  un  realista»,  avrebbe
           osservato  in  seguito  Picasso.  A  poco  a  poco  il  bambino  acquisisce

           parole, frammenti di frasi, i mattoncini del linguaggio. Le parole sono
           astrazioni, creazioni della coscienza prodotte per rispecchiare il mondo

           esterno  ed  esprimere  quello  interiore.  Le  parole  sono  i  soggetti
           dell’immaginazione,  che  a  sua  volta  correda  le  parole  di  immagini,

           ragioni,  significati  e  conferisce  a  esse  un  certo  grado  di  infinità.  Le
           parole  sono  lo  strumento  dell’apprendimento  e  della  poesia.  Creano

           quella realtà seconda, e puramente umana, delle astrazioni mentali.
              Col tempo, divenuto amico di poeti, Picasso avrebbe scoperto che,
           dal punto di vista dell’immaginazione creativa, l’espressione visiva e

           quella  verbale  sono  identiche.  Fu  a  quel  punto  che  egli  cominciò  a
           introdurre  elementi  di  tecnica  poetica  nella  propria  opera:  forme  dai

           molteplici  significati,  metafore  di  forma  e  colore,  citazioni,  rime,
           giochi  di  parole,  paradossi  e  altri  tropi  che  consentono  al  mondo

           mentale di manifestarsi.
              La  poesia  visiva  di  Picasso  attinse  piena  maturazione  e  la  più

           assoluta libertà intorno alla metà degli anni Quaranta in una serie di
           nudi,  ritratti  e  interni  dipinti  con  colori  “squillanti”  e  “aromatici”;
           queste  qualità  risaltano  anche  in  una  quantità  di  disegni  a  china  che

           paiono eseguiti sulla spinta di folate di vento.
              «Noi  non  siamo  meri  esecutori;  noi  viviamo  la  nostra  opera».[5]

           Questa  la  formula  adottata  da  Picasso  per  spiegare  fino  a  che  punto
           l’opera  e  la  vita  fossero  in  lui  intrecciate;  in  riferimento  alla  sua
           produzione artistica, parlò anche di “diario”. D.-H. Kahnweiler, che fu

           amico di Picasso per più di sessantacinque anni, scrisse: «È vero che
           per descrivere la sua oeuvre ho parlato di “fanatico autobiografismo”.

           Ciò  equivale  a  dire  che  lui  dipendeva  solo  da  se  stesso,  dalla  sua
           personale Erlebnis. Era sempre libero, e non aveva debiti se non con se

           stesso».[6]  Anche  Jaime  Sabartés,  che  frequentò  Picasso  per  buona
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