Page 270 - Lezioni di Letteratura Italiana
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Quest’andare zoppicando è poi interpretato non da un interprete moderno, ma da
               Pietro, figlio di Dante, come di uno, il quale pur anelando alla vita contemplativa,
               ha però ancora qualcosa che lo attacca alla terra. Dante non ha insistito, nel resto
               del poema, su questo suo andare zoppo, perché non sarebbe stato poetico, ma è cer-
               to che quando sulla sommità del Purgatorio è puro e disposto a salire alle stelle, non
               ha più un piede attaccato alla terra e l’altro sollevato, ma è ratto, e sollevato in alto,
               guardando solo negli occhi di Beatrice. Non si può dire nemmeno che voli: è assor-
               bito dall’infinito. Così, dunque, questo pellegrino, che ha l’anima antica di un eroe
               e l’anima più antica ancora di un patriarca, sale al cielo ed ivi contempla.

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                     Nove ordini di angeli sono nel cielo, quante sono le sfere. Gli angeli hanno un
               certo determinato officio che viene rispecchiato nei discorsi che Dante intende in
               questo Paradiso. Contempla in ognuna di queste sfere, il mistero della Trinità; tro-
               va che queste nove sfere corrispondano, per il contrario, ai nove cerchi dell’Inferno
               e del Purgatorio. Ma io ho detto sette, prima; come sono nove? Sono nove, perché
               vi sono certi peccati, quasi innominabili, che Dante pur nella sua macchina mirabi-
               le, computa; oltre i sette peccati dell’Inferno vi è il vestibolo e il Limbo; e a un certo
               punto anche il cimitero degli eresiarchi (dov’è Farinata). Sono peccati, per così dire
               negativi, questi; sono di uomini che furono come non fossero, per adoperare parole
               convenienti al mistico soggetto. Quindi, per una parte si tacciono, per l’altra si com-
               putano; perciò, nove sono le circuizioni dell’Inferno; nove le suddivisioni del Pur-
               gatorio, perché, oltre le sette cornici vi sono gli scomunicati e i ritardatari nell’anti-
               purgatorio, che non possono nemmeno cominciare la loro purgazione. Ora, le nove
               sfere del Paradiso corrispondono, per l’incontrario, alle nove distribuzioni dell’In-
               ferno e del Purgatorio. Decima, da una parte, in terra, è la selva oscura; decima, da
               un’altra parte, in Paradiso, è l’empireo colla rosa celeste dei beati. Selva oscura, can-
               dida rosa. Nella selva oscura sono tre fiere, nella candida rosa le tre persone della Tri-
               nità. Virgilio si presenta al pellegrino che è tra la selva oscura e le tre fiere, S. Bernar-
               do, un santo contemplativo, conduce l’anima di Dante all’ultima contemplazione,
               quella del come l’umano si unisca al divino.
                     Dante aveva diviso il suo Paradiso, non rigorosamente, ma in modo assai evi-
               dente, in tre parti di dieci canti l’una. In queste tre parti sono trattate tre gerarchie
               di angeli per ogni dieci canti; i tre ultimi sono dedicati alla Trinità e alla ultima con-
               templazione. Racconta il Boccaccio, il quale a Ravenna ben poteva sapere questo e
               altro, che a mano a mano che Dante concepiva un certo numero di canti (sei o sette)
               li mandava a qualche suo nobile amico. Abbiamo, ora, una egloga pastorale, scritta
               da Dante negli ultimi tempi di sua vita, a un poeta mediocre quanto si voglia, ma
               molto buono: Giovanni del Virgilio che leggeva nello studio di Bologna e che lo ave-
               va invitato a cantare qualche cosa in lingua latina per meritarsi la laurea in Bologna.

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