Page 88 - La passione di Artemisia
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Giuditta e la mia Susanna. «Ve ne sono umilmente grata, Signore».

               Vennero serviti vino e dolci e Buonarroti mi fece fare il giro della sala,
          assicurandosi che tutti sapessero che ero stata io a dipingere l'Inclinazione.
          Avrei  scoperto  infine  che  l'intera  Accademia  era  più  impressionata

          dall'abilità, che non da una ponderata invenzione, frutto di duro lavoro?
               Proprio  quando  stavamo  per  avvicinare  il  granduca,  l'assistente  venne
          verso  di  noi.  «Venite  con  me,  Signora,  facciamo  un  giro».  Un  ordine
          untuoso.  Indicandomi  la  direzione  con  la  mano,  radunò  altri  tre  nuovi
          membri e ci portò al piano superiore, a vedere la biblioteca e gli studi e ci

          mostrò  le  raccolte  di  disegni,  lo  scheletro,  i  calchi  e  poi  si  lanciò  in  una
          lunga,  particolareggiata  descrizione  delle  lezioni.  Tutte  cose  che  non  era
          necessario fare in quel momento. Pagai il più velocemente possibile la mia

          quota  di  immatricolazione  e  mi  iscrissi  a  un  corso  di  scrittura  e  retorica.
          Quando tornai giù, la riunione si era sciolta. Il granduca era andato via. Era
          tutto finito, così. Come un sogno.
               Uscii  dall'Accademia  stringendomi  al  petto  quel  documento  e  avrei
          voluto  tornare  a  casa  danzando.  Avrei  scritto  a  papà.  E  anche  a  suor

          Graziella e a suor Paola. Ma la mia eccitazione si scontrava con il gelo della
          paura di doverlo dire a Pietro.
              Mi affrettai per le stradine, passando tra due mendicanti.

               Sulla porta della macelleria dell'amico di Pietro erano appesi ai ganci di
          ferro polli e anatre, ancora con le piume.
              Il sangue che colava si riversava sulla strada in un rivoletto.
               Lo evitai ed entrai. Comprai della salsiccia di cinghiale, che per noi era
          un cibo insolito ma a Pietro piaceva molto. Poi andai dal vinaio.

              «Una  bottiglia  di  grappa  della  migliore.  E'  per  celebrare  un
          avvenimento». La mia voce svegliò il cane che dormiva, steso sui gradini
          della cantina.

              Passai accanto ai bambini che giocavano per strada, a degli incappucciati
          della  Confraternita  della  Misericordia  che  accompagnavano  un  feretro  a
          Santa Croce, e poi attraversai in diagonale l'ampia piazza. Dato che la solita
          penitente dai capelli scarmigliati si stava fustigando e lamentando accanto
          al  portale  della  chiesa,  non  entrai  nemmeno  per  fermarmi  davanti  alla

          tomba  di  Michelangelo,  come  facevo  di  solito.  Avrebbe  compreso  la  mia
          eccitazione.
              «Brava», mi avevano detto.

               Che avrei potuto dire a Pietro per ammansirlo? Le pezze di seta colorata
          in via de' Tintori parevano sventolare in mio onore. Affrettai il passo per un
          breve tratto sul Lungarno, corsi su per le scale. Tre rampe, due, col respiro
          affannato,  solo  un  altro  e  sentii  piangere  Palmira.  Aprii  la  porta.  Stava
          raggomitolata per terra, in un angolo, stringendosi addosso il mio vestito e



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