Page 113 - La passione di Artemisia
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guardare attraverso un telescopio».

              «No, vado alle corse dei cavalli».
               Le  corse  dei  cavalli.  Il  che  stava  a  significare  due  cose:  o  che  sarebbe
          tornato a casa allegro e disposto alla generosità, oppure arrabbiato e avaro.

               Il pomeriggio del compleanno di Giovanni de' Medici tutta la città era
          sotto  una  cappa  di  caldo  e  umidità.  Dal  selciato  si  sollevavano  ondate  di
          calore, che si riversavano sui muri delle case. L'aria era talmente pesante
          che avrebbe paralizzato le ali di una falena.
               Nella  Sala  Bianca  un  valletto  mi  fece  sedere  accanto  a  Galilei,

          all'estremità delle tavole disposte a ferro di cavallo.
               Come  mi  vide  si  alzò,  mi  fece  un  inchino  e  scostò  la  sedia  perché  mi
          sedessi.

              «Mi  avete  perdonato  per  avervi  abbandonato  alla  mercé  del
          sagrestano?» gli domandai. «Temo che mia figlia e io ci siamo comportate
          male».
              «E io temo di avervi delusa nuovamente».
              «Come potete dirlo?» chiesi.

              «Le nubi». Volse lo sguardo alla finestra aperta. «Questa notte Venere
          non si farà vedere».
              «Forse saranno spazzate via», osservai.

               Con  un  dito  indicò  uno  stendardo  che  pendeva  floscio  e  immobile
          sull'altra ala del palazzo.
               Nulla di quello che disse mi rivelò le sue intenzioni. Più di una volta mi
          accorsi che non stava seguendo la conversazione che si svolgeva a tavola,
          ma si grattava con l'unghia del pollice i polpastrelli. Era vero che stava con

          la testa tra le stelle, come avevano detto quelle donne.
               I camerieri servirono gli antipasti. Acciughe sott'olio e fiori di zucchini
          fritti. Tutti mangiavano lentamente, parlavano lentamente e si muovevano

          il  meno  possibile.  Persino  le  risate  erano  rallentate  e  soffocate.  Dalle
          finestre  aperte  non  entrava  un  filo  d'aria.  Rivoli  di  sudore  colavano  sul
          collo  dei  camerieri.  Gli  ospiti  si  asciugavano  la  fronte  con  i  tovaglioli.
          Galilei bagnò il suo tovagliolo e me lo pose sul polso per rinfrescarmi.
               Poi  venne  servito  un  saporito  pasticcio  di  maiale,  con  cipolle,  datteri,

          mandorle  e  zafferano,  mentre  veniva  eseguita  una  canzone  a  ballo
          composta da Lorenzo de' Medici.
               Chi vuol esser lieto sia, del doman non ve certezza, cantavano i musici.

          Che canzone da scegliere per un compleanno!
               Alcuni risero e posarono i loro ventagli dipinti per applaudire, ma a me
          parve un augurio sinistro. Pensai a Pietro che stava giocando alle corse dei
          cavalli.  Anche  Galilei  pareva  avere  in  quel  momento  qualche  oscuro
          presentimento,  anche  se  non  riuscivo  a  comprendere  di  che  natura.



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