Page 52 - Nietzsche - Su verità e menzogna
P. 52

CAPITOLO VIII









     Eraclito era fiero: e se in un filosofo si arriva alla fierezza, essa è allora una grande fierezza. Il
     suo agire non attira mai l’attenzione di un «pubblico», il plauso delle masse e il coro osannante

     dei contemporanei. Percorrere la strada da solo pertiene all’essenza del filosofo. Il suo talento è
     il più raro, in un certo senso il più innaturale, e inoltre è esclusivo, e ostile persino verso talenti
     simili.  Le  mura  della  sua  autosufficienza  devono  essere  di  diamante  se  non  vogliono  essere
     frantumate e distrutte, perché tutto muove contro di lui. Il suo viaggio verso l’immortalità è più

     faticoso  e  pieno  di  ostacoli  di  qualsiasi  altro;  e  tuttavia  nessuno  può  credere  con  sicurezza
     maggiore  della  sua  di  giungere  per  quella  via  alla  meta.  Il  filosofo  non  sa  dove  dovrebbe
     sorreggersi, se non alle grandi ali spiegate di tutte le epoche: l’assenza di considerazione per il
     presente  e  il  momentaneo  rientra  infatti  nell’essenza  delle  grandi  nature  filosofiche.  Egli

     possiede la verità: la ruota del tempo può girare dove vuole, ma non potrà mai sfuggire alla
     verità. È importante venire a sapere che tali uomini sono un tempo realmente vissuti. Non si
     potrebbe mai immaginare, ad esempio, la fierezza di Eraclito come un’oziosa possibilità. Ogni
     tendere  alla  conoscenza  sembra  in  sé,  nella  propria  essenza,  eternamente  insoddisfatto  e

     insoddisfacente. Perciò nessuno, a meno che non sia stato istruito dalla storia, potrebbe credere
     in  una  considerazione  di  sé  talmente  regale  e  nella  convinzione  di  essere  l’unico  fortunato
     pretendente  della  verità.  Uomini  siffatti  vivono  nel  loro  proprio  sistema  solare:  qui  devono
     essere cercati. Anche un Pitagora, un Empedocle, trattavano se stessi con una stima sovrumana,

     anzi  con  una  soggezione  quasi  religiosa;  ma  il  legame  della  compassione,  unito  alla  grande
     convinzione della trasmigrazione delle anime e dell’unità di tutti gli esseri viventi, li condusse
     nuovamente presso gli altri uomini, per salvarli e preservarli. Ma soltanto gelando nella più
     selvaggia  desolazione  montana  si  può  presagire  qualcosa  del  sentimento  di  solitudine  che

     pervadeva l’eremita nel tempio di Artemide in Efeso. Da questi non s’irradia alcun prepotente
     sentimento di eccitazione compassionevole, alcuna brama di aiutare, salvare e preservare. È un
     astro privo di atmosfera. Il suo occhio, rivolto fiammeggiante verso l’interno, solo in apparenza
     guarda,  spento  e  gelido,  verso  l’esterno.  Intorno  a  lui,  proprio  contro  la  solidità  della  sua

     fierezza,  si  abbattono  le  onde  della  follia  e  dell’insensatezza:  con  disgusto  egli  distoglie  lo
     sguardo. Ma anche gli uomini di animo sensibile evitano una tale maschera, che è come fusa in
     bronzo: un essere siffatto può apparire più comprensibile in un santuario remoto, fra immagini
     di dèi, accanto a un’architettura fredda e quietamente sublime. Tra gli uomini Eraclito era, come

     uomo,  incredibile;  e  se  veniva  visto  prestare  attenzione  al  gioco  di  fanciulli  chiassosi,  egli
   47   48   49   50   51   52   53   54   55   56   57