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comunità.
          Poetica (LA) [Perì poiētikês], opera di Aristotele, composta tra il 334 e il 330 circa
          a.C. e a noi giunta mutila e alterata da lacune e interventi posteriori. Dei due libri
          originari  possediamo  solo  il  primo;  del  secondo,  al  quale  rimanda  lo  stesso

          Aristotele e che doveva trattare della commedia e della poesia giambica, si persero
          le  tracce  fin  dai  secc. VIVII,  come  testimonia  il  fatto  che  esso  manca  già  in  una
          traduzione araba del x sec., a sua volta versione di una siriaca del VIII. Il primo libro
          si compone di ventisei capitoli: introduzione sull’essenza della poesia, suoi diversi
          generi, sue origini (capp. I-V); teoria della tragedia (capp.VI-XXII); teoria dell’epopea
          (capp. XXIII-XXIV);  questioni  varie  (cap. XXV); confronto tra l’epopea e la tragedia
          (cap. XXVI). Secondo Aristotele, la poesia è mimesis, ovvero imitazione del reale:

          essa  può  imitare  variamente  e  i  vari  generi  altro  non  sono  che  i  vari  modi
          dell’imitazione: la tragedia è « imitazione di un’azione seria e compiuta in se stessa,
          che abbia una certa ampiezza, un linguaggio ornato in proporzione diversa a seconda
          delle diverse parti, si svolga a mezzo di personaggi che agiscano sulla scena, e non
          che narrino, e infine produca, mediante casi di pietà o di terrore, la purificazione di
          tali passioni » (VI, 1449 b). La tragedia è dunque il più elevato dei generi poetici:

          essa, che deve svolgersi con continuità, in modo che ogni momento si concateni con
          l’altro, né con l’altro possa essere scambiato di posto, né tanto meno possa essere
          soppresso (unità di azione), ha per ciò stesso come oggetto il verosimile, e non il
          vero (che non può certo sottostare a queste leggi). Il vero (e cioè l’individuale) è in
          realtà oggetto della storia; il verosimile (cioè l’universale) è oggetto della poesia:
          per  questo  «  la  poesia  è  più  filosofica  e  più  elevata  della  storia  »  (IX,  1451  b).
          Grande merito di Aristotele fu infatti la rivalutazione della poesia, ridotta da Platone

          a  copia  illusoria  e  sbiadita  del  reale  (in  quanto  imitazione  di  un  mondo  [le  cose
          sensibili] che è già a sua volta imitazione di un altro [le idee]) e da lui estromessa
          dalla Repubblica in quanto suscitatrice di inopportune passioni ed emozioni. Nella
          sua  celebre  teoria  della  catarsi*,  al  contrario, Aristotele  riconosce  alla  poesia,  e
          precipuamente alla tragedia, la sublime facoltà di purificare quelle stesse passioni
          condannate da  Platone.  La medesima capacità Aristotele attribuisce alla musica, e

          non  è  difficile  riconoscere  in  tale  dottrina  un’influenza  remota  di  tipo  orfico–
          pitagorico. Se poi si tratti di purificazione dalle o delle passioni è questione a lungo
          dibattuta, ma prevale la seconda interpretazione, cosicché la stessa espressione di «
          catarsi delle passioni » potrebbe essere resa, a titolo puramente esplicativo, con «
          sublimazione delle passioni », « decantazione delle passioni » ecc. In realtà molti fra
          gli  argomenti  trattati  da  Aristotele  in  questa  celebre  operetta  diedero  luogo  a
          discussioni sottili e anche a forzate interpretazioni: basti per tutti, oltre a quello di

          catarsi,  l’esempio  delle  cosiddette  tre  unità  della  tragedia  (tempo,  luogo,  azione),
          che in realtà, nella Poetica, si riducono a una (azione). Enorme fu infine l’influenza
          di  quest’opera  sulla  cultura  estetica  occidentale,  alla  quale  servì  di  precettistica
          ogniqualvolta nacque la necessità di ricercare insegnamenti e modelli nel passato. In
          particolare, in Italia, nella seconda metà del Cinquecento, essa costituì il punto di
          riferimento  incontestato  per  la  definizione  del  concetto  stesso  di  poesia  e  per  la
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