Page 684 - Dizionario di Filosofia
P. 684

1970.

          PSICOLOGÌA  (gr. psyché,  anima  e lógos,  scienza).  La  parola,  nella  forma  lat.  di
          psichologia,  risale  probabilmente  a  Melantone,  nei  cui  scritti  comunque  non
          compare,  ma  fu  reso  pubblico  per  la  prima  volta  dal  filosofo  tedesco  Rodolfo
          Goclenio (Göckel) [1547-1628], che intitolò Psychologia (nella forma greca) un suo

          trattato De  hominis  perfectione,  animo  et  in  primis  ortu  eius  (1590).  Presso  gli
          autori  antichi,  infatti,  non  esisteva  una  disciplina  autonoma  con questo  nome;
          esistevano  bensì  indagini perì psychês  o de anima, laddove « anima » era intesa
          ontologicamente  come  sostanza  e  metafisicamente  come  principio  di  vita.  (V.
          ANIMA.)
          Nel  linguaggio  contemporaneo  la  parola  psicologia,  usata  in  assoluto,  cioè  senza
          alcun’altra  determinazione,  ha  il  senso  di  psicologia  sperimentale  o  scientifica,
          ovvero  di  disciplina  che  analizzi,  usando  i  metodi  delle  altre  scienze,  la

          fenomenologia della vita psichica, allo scopo di venire a conoscenza dei modi più
          reconditi attraverso i quali essa si attua e le leggi che la conducono.
          Risale a C. Wolff la distinzione tra Psichologia empirica (ovvero sperimentale) e
          Psichologia rationalis (ovvero filosofica); la prima cerca, attraverso l’esperienza,
          di cogliere i principi che possano spiegare il comportamento dell’anima umana, la

          seconda indaga sulle facoltà dell’anima stessa (fu detta perciò anche « psicologia
          delle facoltà »).
          Kant, riprendendo la distinzione di Wolff, negò che potesse esistere una « psicologia
          razionale » (il cui compito, ovvero lo stabilire i principi della possibilità d’azione
          dell’anima, è assolto dalla critica) per l’equivoco fondamentale che altro essa non
          farebbe se non tradurre in qualità dell’anima, intesa come sostanza oggettiva, quelle
          che  sono  invece  attitudini  trascendentali  della  soggettività  pensante  (paralogismi
          della  psicologia  razionale).  Al  contrario,  ammise  la  validità  della  «  psicologia

          empirica  »,  seppure  non  intesa  come  scienza  esatta  (mancando  ai  fatti  psichici  la
          forma a priori dello spazio, e quindi non essendovi possibile l’applicazione della
          matematica),  ma  semplicemente  come  disciplina  classificatrice  e  descrittrice  dei
          fenomeni psichici. Con questa critica di Kant si può dire che la psicologia filosofica
          — ovvero la dottrina dell’anima e delle sue qualità — sia finita, a vantaggio della

          nascente  filosofia  empirica,  o  sperimentale,  anche  se  dopo  di  lui  si  continuò  a
          parlare di anima in senso tradizionale e di psicologia in senso filosofico. Lo stesso
          idealismo, che è la filiazione più diretta del criticismo kantiano, sostituì il concetto
          soggettivo dell’io a quello oggettivo dell’anima.
          La psicologia sperimentale, dal canto suo, che aveva avuto le prime formulazioni
          nell’ambito  dell’empirismo  della  fine  del XVIII  sec.  (Cabanis),  si  sviluppò
          pienamente come scienza autonoma nella seconda metà del XIX sec., parallelamente

          al  fiorire  delle  dottrine  positivistiche  e  materialistiche  e  al  progredire  delle
          metodologie scientifiche.
          Importanti contributi alla sua costituzione come scienza diedero tra gli altri Lotze, E.
          H. Weber e, soprattutto, G. T. Fechner, che tentò di spiegare le leggi che dominano i
          processi  psichici  su  basi  matematiche,  ma  il  vero  fondatore  della  psicologia
   679   680   681   682   683   684   685   686   687   688   689