Page 572 - Dizionario di Filosofia
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genetica, ecc.

          MITO (gr. mŷthos, racconto, leggenda). Il mito ha esercitato nella storia della civiltà
          una funzione di grandissimo rilievo. In forma generalmente narrativa, esso fornisce
          una  spiegazione  e  insieme  una  garanzia  della  validità  degli  elementi  che
          costituiscono  il  patrimonio  sociale,  intellettuale  e  morale  di  una  cultura:  esso

          proietta, in un passato più o meno lontano, le esigenze psicologiche di una società
          umana,  inserendole  in  un  contesto  sacrale  che  ne  costituisce  la  legittimazione.
          Prodotto di una mentalità arcaica, il mito è spesso dominato dal pensiero magico: le
          cose, gli animali, i fenomeni della natura vi appaiono animati e umanizzati e tutte le
          metamorfosi  vi  sono  possibili;  il  mondo  degli  dei,  degli  eroi  e  degli  uomini  vi
          costituisce un tutto in cui il sacro e il profano agiscono in assoluta continuità. Tale
          continuità  è  ribadita  dall’impiego  del  mito  nel  rituale:  molti  riti  religiosi
          costituiscono la ripetizione nel presente di una vicenda mitica, spesso realizzata in

          forma drammatica. I temi che il mito può trattare sono estremamente vari: in primo
          piano  stanno  la  nascita  e  le  vicende  degli  dei,  la  creazione  o  la  formazione  del
          mondo e dell’uomo, l’origine di questa o di quella realtà naturale o fisiologica (per
          es. il vento o la morte) o culturale (il fuoco, l’agricoltura), o di particolari divieti
          (l’incesto). Esistono anche miti relativi a fatti che avverranno nel futuro: così il mito

          germanico del « crepuscolo degli dei » (miti escatologici). Il mito si distingue dalla
          favola o dal romanzo non per diversità di contenuti, ma per un diverso atteggiamento
          della  società  nei  suoi  confronti:  si  ha  favola  o  romanzo  quando  un  racconto  è
          presentato  e  accolto  come  opera  di  pura  fantasia,  mito  quando  esso  assume  un
          carattere sacrale e richiede una adesione di fede: il mito è innanzitutto verità. Ciò
          spiega come una vicenda che in una determinata società ha carattere sacro, e perciò
          di mito, possa altrove apparire come una semplice favola, una volta che sia venuta a
          mancare la struttura religiosa che gli dava quel carattere. Con un fenomeno che si

          potrebbe definire di « evemerismo spontaneo », miti che abbiano perduto il contatto
          con la realtà sacrale che li ha ispirati possono essere interpretati come narrazioni
          storiche,  venendo  più  o  meno  modificati  in  senso  razionalistico:  molti  studiosi
          ritengono,  ad  es.,  che  la  più  antica  «  storia  »  di  Roma  sia  in  realtà  costituita  da
          narrazioni mitiche.

          I miti propri di una determinata cultura tendono a organizzarsi in cicli, legati ad es. a
          una determinata regione o gravitanti intorno a una figura divina o eroica, e spesso a
          costituire una mitologia più o meno coerente. In tali processi può intervenire l’opera
          di una classe sacerdotale, che accentra sul dio che essa venera o sul centro religioso
          in cui opera anche episodi mitici originariamente relativi ad altre divinità o elaborati
          in  altri  luoghi.  In  ambiente  sacerdotale  si  rielaborano  o  si  creano  anche  miti  a

          carattere parafilosofico, destinati a interpretare con maggiore o minore sistematicità
          la struttura e l’origine dell’universo, dell’uomo, ecc. Ciò conduce al problema dei
          rapporti storici tra pensiero mitico e pensiero filosofico: in astratto essi sembrano
          escludersi a vicenda, perché mentre il mito si presenta come tradizione da accettare
          dogmaticamente,  la  filosofia  è  approfondimento  personale  e  metodico  di  una
          problematica; tuttavia, in pratica, si riscontra piuttosto una continuità tra questi due
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